Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 3, Classici italiani, 1824, XII.djvu/800

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IC)5!2 LIBRO metro e di nuove leggi, co’ quali ad essi sembrava che più bella e più vaga divenir dovesse la poesia. E potremmo aggiugnere ancora i nioU rissimi scrittori dell’arte poetica; ma di essi, ci ri serberemo a parlare nel capo seguente. Questi tre oggetti ci potrebbono occupare ancora assai lungamente, se noi volessimo o ridire ciò che altri hanno già scritto, o andando in ti accia di minutezze aggiugnere qualche piccola osservazione alle loro ricerche. Ma sembra omai tempo di metter fine a questo sì lungo capo; e noi perciò ne darem solo un’ idea, quanto basti a far conoscere sempre più chiaramente qual fu in questo secolo il valore e l impegno degl’ ingegni italiani nell’abbracciar tutto ciò che potesse giovare a promuovere e ad avvivare gli studi. LXXIII. E per cominciare da’ traduttori de’ poeti greci e latini, appena ve n ebbe alcuno che non si vedesse recato nella volgar nostra lingua; e molti ancora non un solo n ebbero, ma^iarecchi che a gara ce li dieder tradotti. Tre ne ebbe l’Iliade di Omero, Bernardino Leo da Piperno, che ne tradusse in ottava rima i primi dodici libri, Paolo Badessa messinese, e Fran-. cesco Nevizzano, che tutta la recarono in versi sciolti. Il Nevizzano si dice dal Quadrio di patria milanese (t 2.p. 356, 510); ma io credo che ei sia il figlio di quel Giovanni Nevizzano di Asti da noi nominato tra’ giureconsulti, cui il Rossotti fa autore di varie poesie italiane (Sj llab. Script. Pedemont p. 214) Girolamo Baccelli fiorentino ridusse f Odissea in versi