Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 4, Classici italiani, 1824, XIII.djvu/121

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TF.RZO 2083 egli poi scrisse a Gianfrancesco Caserta f|,e lo avea invitato a fare colà ritorno: Quid? ista vestra Tam felicia , tam venusta rura , Quem non alliciant suo lepore? Addas, quod mihi reddidere vitam , Cum vis tabifica intimis medullis Serpens lurida membra devoraret. L. 6, carm. 20. E non solo ei si rimise in salute, ma ebbe ancor quegli onori e que’ premj che a’ suoi meriti eran dovuti. Quindi Torquato Tasso, nel suo Dialogo , fa dire al Minturno: Io posso afI ftrmar senza bugia A avere conosciuto in questa Città (cioè in Napoli) il Bonfadio ed il Flaminio , e molti altri, i quali se ne partirono arricchiti co’ doni, o almeno onorati colle ricchezze de’ Signori Napoletani (Op. t 3, p. t\ 14, td. Fir.). Bernardo Tasso tra gli altri bramò di conoscerlo , e gli scrisse a tal fine invitandolo a venire a Sorrento, e dolendosi di non poterlo imitare nella buona vita, come si era sforzato d’imitarlo nella poesia, e conchiuse esortandolo a difendere colla sua virtù la santa Fede (B. Tasso, Lett. t 1, lett. 133). Ma, a dir vero, invece di difendere la Religione, fu allora il buon Flaminio a non lieve pericolo di diventarle nemico. Ch’egli si mostrasse per qualche tempo propenso alle opinioni dei novatori, non può negarsi. E forse la stessa pietà del Flaminio, e l’austera e innocente vita eli’ ci conduccva, lo trasse suo malgrado in que’ lacci; perciocchè, essendo la riforma degli abusi e t emendazion de’ costumi il pretesto di cui Tiraboschi, Voi. XIII. 8