Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 4, Classici italiani, 1824, XIII.djvu/269

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TERZO 223I singolarmente per riguardo all’eloquenza. Parve a lui che l’Italia non fosse bastevol campo alle sue vaste idee; e bramava di andarsene in Francia , e al re Francesco I, che a tutti i dotti era noto per la sua splendida munificenza verso le lettere, comunicare i suoi grandi disegni. O egli cercasse di farsi conoscere a quel monarca, o questi ne udisse ragionar da altri, è certo che il Cammillo fu a quella corte chiamato, e ch’egli andovvi col conte Claudio Rangone, detto da lui ornamento della nobiltà di questo secolo (ivi, t. 1, p. 34), e con Girolamo Muzio. Che ciò accadesse nel 1530, provasi non sol dalla lettera poc* anzi accennala, ma da un’altra ancora di Andrea Alciati, scritta da Bourges. nel settembre dell’anno stesso a Francesco Calivi: Accepi, gli scrive egli (post Gudii Epist. p. 109), et in Aulam venisse Julium quemdam Camillum a Foro Julii, doctum hominem qui Regi obtulerit, brevissimo tempore, puta mense, facturum se, ut res tam eleganter Graece et Latine, prosa et verso sermone dicere possit, quam Demosthenes, et Cicero, et Virgilius, aut Homerus, dum horam diurnam illi Rex solus praestare velit; nolle enim ea arcana inferiori cuiquam a Rege patefieri, et nec id quidem gratis; sed redditum annuum duorum millium aureorum in sacerdotiis pro mercede petere. Persuasit constantia vultus ipsi Regi; bis interfuit docenti, emunxitque illi sexcentos aureos , et dimissus est. Vereor, ne in fabulam res transeat. Ma Gaillard nella sua Vita di Francesco I, dopo aver narrato ciò che dall "Alciati udito abbiamo, soggiugne (t. 7, p. ’a5o) che