Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 4, Classici italiani, 1824, XIII.djvu/277

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TERZO 223<J cosa nuova, che altra volta l’ho io udito a far con me solo alcuni ragionamenti che mi levavano fuor di me stesso. E vi vo’ dir tanto ora, che mi sono trovato da me a lui a metterlo in sul parlare , e lo ho visto andarsi in modo scaldando, che a poco mi pareva vederlo uscir di sè, ed esser rapito in ispirato sì fattamente, che nel viso di lui e negli occhi suoi mi si rappresentava una tale spezie, di f urore, quale descrivono i Poeti della Sibilla o della Profetessa de’ tripodi (IA polline: il che io non poteva sofferire senza spavento. Prima che il Cammillo partisse per Venezia , il che accadde al principio di febbraio del i.r>44, volle il marchese ch’egli lasciasse in iscritto l’idea del suo teatro; e perchè potesse farlo più agevolmente, ordinò al Muzio che scrivesse ciò ch’ei volesse dettargli: Così adunque ne è seguito, scrive il Muzio (ivi, p. 73), che dormendo noi in una medesima camera in due letti vicini, per sette mattine ad hora di mattino svegliandoci, e dettando egli, e scrivendo io infino al dì chiaro, abbiamo ridotta C opera a compimento. E questa è l’opera che fu poscia stampata col titolo: Idea del Teatro di Giulio Camillo. Questi da Venezia prontamente tornò alla corte del marchese del Vasto; ma poco tempo vi stette, rapito da improvvisa morte in Milano in casa di Domenico Sauli, ove egli crasi al dopo pranzo recato insieme col Muzio. Questi ci ha lasciata la descrizione della funesta fine di Giulio in una sua lettera inedita, parte della quale è stata pubblicata da Apostolo Zeno (Letter. a monsig. Fontan p. 204). Essa