Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 4, Classici italiani, 1824, XIII.djvu/296

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2 258 LIBRO altri sicuri riscontri si hanno del soggiorno da lui fatto allora in Milano (Agostini, Notiz. della Vita di B. Egnaz. p. 65); ed è probabile che essendosi il nuovo re Francesco I impadronito in quell’anno di quello Stato, lo Stoa fosse rimesso alla sua cattedra nell’università di Pavia. Nell’Elenco degli Atti di essa, più volte citato, al 1 di giugno del 1520 si trova/ accennato un decreto pro solutione salarii Magì stri Quintiani Lectoris super sciitis ioo si disi dii exacti (p. 48). Ed ivi era ancora lo Stoa nel marzo del 1521, come ci mostra una lettera da lui scritta a Federigo Nausea (Epist. miscell, ad Frid. Nauseam, p. 3). Ma avendo i Francesi nell’anno stesso perduto di nuovo il dominio di quello Stato, lo Stoa, privo de’ suoi protettori, determinossi a fissare la sua dimora in Brescia. Ivi nell’agosto del 1522 porse supplica alla città per essere ammesso nel ruolo de’ cittadini , e le preghiere ne furono esaudite. Giovanni Planerio, amicissimo dello Stoa, con cui avea comune la patria, ci narra gran cose degli onori ad esso renduti. Ei dice che molti vennero dalla Francia a Brescia sol per vedere lo Stoa; che avendolo il conte Bartolommeo Martinengo suo gran protettore condotto a Venezia, i più ragguardevoli senatori e i più gran letterati furon solleciti di conoscerlo; che il doge f onoro del titolo di cavaliere; che il senato volle farlo presidente dell* università di Padova; che in questa città , appena ei vi fu giunto, tutta la scolaresca accorse in folla a vederlo. Ma io bramerei che di sì illustri contrassegni d’onore i