Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 4, Classici italiani, 1824, XIII.djvu/305

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TERZO 32G7 amata, ch’io non so se fosse quella medesima ch’egli in una elegia, citata dal Sassi, si duole di aver lasciata in Milano. Ivi egli ebbe fra gli altri scolari il celebre Marcantonio Flaminio, e tra le lettere di Giannantonio di lui padre una ne abbiamo in cui al Pio caldamente il raccomanda, e la risposta dal Pio segnata il primo di giugno del 1514» con cui loda il giovinetto Flaminio (Epist. l. 5, ep. 19, 20). Altre lettere abbiamo di Giannantonio al Pio, colle risposte di questo; e le prime ci mostrano che il Flaminio ne stimava molto l’erudizione e il sapere (l. 11, ep. 1, 2, ec; l. 12, ep. 1, 4» 5, 6, ec.); e in un’altra lettera a Matteo Caranti, il quale pare che non avesse grande stima del Beroaldo e del Pio, ei dice che erano uomini amendue di singolare dottrina, e che il Pio era assai accetto al pontefice Leon X, in modo che veniva detto comunemente lettor del pontefice (l. 5, ep. 20). È probabile che dopo la morte di Leon X tornasse a Bologna. Ivi certo egli era nel 1524; perciocchè Romolo Amaseo in una sualettera scritta a’ 13 di settembre del detto anno, Giungemmo, dice (Vita R. A mas. p. 209), in Bologna io e Violante e i putti li 21 d’Agosto. Io non sono mai uscito di casa, mentre che sono stato colà, perchè essendo in caldo le p ratti che della ricondotta mia, e smaniando tutti gli Umanisti, duce Pio, e parlando e scrivendo di me vituperosamente, e adoperandosi per loro tutti i suoi, et usando tutte le arti in fare, che la ricondotta non passasse, et oltra di ciò minacciandomi loro in ogni suo parlare e scrivere bestialissimamente sopra la vita, non mi assicurai