Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 4, Classici italiani, 1824, XIII.djvu/404

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a3(>6 libro citi le contempla di non lodar nè meno l’arte del maestro, e quasi non vi por cura , standosi tutto intento e rapito nell’azione da esso imitata, a cui crede infatti di trovarsi presente. Bene a Raffaello si compete il titolo di divino, con cui viene da ogni gente onorato. Chi per la nobiltà e aggiustatezza della invenzione, per la castità del disegno, per la elegante naturalezza , pel fior della espressione , lo meritò al pari di lui, e per quella indicibile grazia sopra tutto più bella ancora della bellezza istessa , con cui ha saputo condire ogni cosa? Ciò che in lui è ancor più degno di lode, si è ch’ei fu il primo per avventura a fare attento studio sulle pitture e sugli altri monumenti dell’antichità più remota, di cui perciò andava sollecito in cerca, e a rinnovare il buon gusto che tanto fioriva già presso i Greci. Delle stanze del Vaticano nobilmente dipinte da Raffaello, e dagli altri ornamenti che a quel gran palazzo egli aggiunse, de’ più celebri quadri da lui dipinti , de’ disegni e de’ cartoni in diverse parti da lui mandati, parla sì a lungo il Vasari, cbe è inutile il volerne trattare distintamente. Ma il Vasari non ha avvertito che Rafaello fu ancor deputato sull’architettura della basilica Vaticana, e che molto egli adoperossi nell’illustrare Vitruvio , e che Roma fu in molte parti da lui abbellii a ed ornata. Noi dobbiamo queste notizie ad un bellissimo passo di Celio Calcagnini, che scrivendo da Roma a Jacopo Zieglero, di tutto ciò l’avvisa , e fa insieme un sì magnifico elogio, non sol de’ talenti, ma anche de’ costumi piacevoli e delle amabilissime maniere di