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Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 4, Classici italiani, 1824, XIII.djvu/75

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TERZO 203^ ,tìolle c lascivo. Di lui parla il Giovio (Elog. „46), e riflette che avendo voluto rivolgersi al tempo medesimo a molti studj, in niuno potè divenir eccellente. Ei fu professore nell’tipi versi tà di Napoli, e maestro ancora di Ferrante Sanseverino principe di Salerno (Origlia, Stor. dello Stud. di Nap. t 2, p. 8); e delle opere da lui composte, benchè non tutte pubblicate, si può vedere il catalogo presso il Giovio e presso il Tafuri (Scritt. napol t 3, par. 1, p 231; par. 6, p. 102). La morte ne fu infelice; imperciocchè andando da Sorrento a Castellamare nel 1530, sì smarrì per modo, che più non se n ebbe contezza, e fu creduto ch’ei j'osse ucciso e gittato in mare da alcuni ch’egli col palesare troppo liberamente i loro amori avea irritati. Io passo sotto silenzio Paolo da Canale, di cui fa menzione il Giraldi (p. 546), poichè di esso si è detto nel primo capo di questo libro. Aggiugne egli poscia che molti poeti erano ancora in Venezia, ma poco a lui noti pel breve soggiorno che in quella città avea fatto; e che molti n’ erano ancora in Milano; e nomina Stefano Dolcino, che fu veramente di patria cremonese, ed è lodato ancor dal Bandello come colto poeta (t 2, nov. 58) (a), Paolo Bernardino Lanticri e Francesco Taozi fa) L‘ editissimo P. Allò ha osservato (Mem. d ill. Parm, t. 3, p. 65, ec. 163, ec.) che due furono col nome di Stefano Dolcino, il primo canonico della Scala in Milano, ma parmigiano di patria, e morto nel 1508; l altro vissuto egli pur lungamente in Milano, lodato dal Giraldi e dal Bandello, e morto dopo il 1511 e distingue le opere dell’uno da quelle dell’altro.