Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VIII, parte 1, Classici italiani, 1824, XIV.djvu/150

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. I 33 LIBRO e solennemente aperta nel 1609. Ei volle ancora che alcuni dottissimi uomini fossero impiegati non solo nel conservarla ed accrescerla, ma anche nell’agevolare agli altri la strada al conseguimento di tutte le scienze. Fondò a tal fine il collegio Ambrosiano j ciie dovea esser composto di sedici dottori, benchè veramente non passasse mai il numero di nove. Loro pensiero dovea esser l’applicarsi ciascheduno a quel genere di erudizione e di scienza che fosse più al suo talento adattata, e il pubblicar in esso tali opere che illustrassero ugualmente il nome de’ loro autori, che gli studi a cui eransi consecrati. A questo fine alla biblioteca Ambrosiana aggiunse una stamperia, e volle ch’ella fosse fornita de’ caratteri delle lingue orientali, e di quelle chiamò con ampii stipendii a Milano alcuni illustri professori. Egli ebbe ivi di fatto due maestri delle lingue arabica e della persiana, detto il primo Abdala, Si mone il secondo, i quali poi però non soddisfecero all’aspettazione del cardinale. Più felice fu la scelta di Michele Maronita, il quale nella lingua arabica istituì sì bene Antonio Giggeo, che potè poi pubblicarne il primo Vocabolario che ne vedesse l’Italia. Un prete armeno ancora detto Bartolommeo Abagaro, e un certo F. Paolo Copus furono per qualche tempo a’ servigi del cardinale, ed ebbero a scolaro Francesco Rivola, che pubblicò poi prima d’ogni altro la gramatica e il vocabolario di quella lingua. Cercò ancora di averne uno della lingua abissina, e abbiam su ciò alle stampe una lettera del cardinale, in cui ne fa grandi istanze (Racc. milan. 1756; fol. 35)