Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VIII, parte 1, Classici italiani, 1824, XIV.djvu/538

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5^6 APPENDICE suo scolaro, clic ò quella stessa probabilmente che accennasi nel decreto di condanna, di cui ora diremo, e che è stala, ma non interamente, data alla luce dal sopraddetto Targioni (l. cit. p. 22), e un’altra da lui scritta alla gran duchessa di Toscana, ci mostrano che il Galileo avrebbe voluto persuaderci che al senso letterale della Scrittura non dovesse aversi riguardo se non nelle cose che appartengono al domma. Or questa proposizione, benchè in qualche senso si possa ammettere per vera, riputavasi nondimeno, ed era di fatto, pericolosa, singolarmente a que’ tempi ne’ quali era ancora recente la dolorosa memoria delle perdite che la Chiesa romana fatte avea nel Settentrione, e che in gran parte avean tratta la loro origine dalla libertà introdotta da’ Novatori d’interpretare a loro capriccio la sacra Scrittura, di darle quel senso che tornasse loro più acconcio. Non ignoravano certamente i romani teologi che nelle cose che indifferenti sono alla Fede, e in queste ancora, se una evidente ragione a ciò ne determini, è lecito, e talvolta ancor necessario, allontanarsi dal senso letterale. Ma sapevano ancora che i teologi e i filosofi tutti dell’età trapassate aveano finallora creduto che nella sacra Scrittura si stabilisse chiaramente l’immobilità della Terra) che quelli i quali prima del Galileo sostenuto aveano il sistema copernicano, avean parlato soltanto come filosofi, e non avean cercato di conciliare la loro opinione col sacro testo; che il Copernico solo dato ne avea qualche cenno,