Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VIII, parte 2, Classici italiani, 1824, XV.djvu/445

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9g9 e che non debbo ardir di tradurre da quella nella volgar nostra lingua, giacchè ita tamen ut, ec.,non vuol già dire a patto però che, ec., ma significa qualche altra cosa che V. P. reverendissima ci dirà poi in altra opera che cosa sia. Finalmente ella aggiugne, bisogna poi vedere da chi abbia avuto una tal notizia Benedetto. Non è verisimile di fatto che l’abbia avuta dallo stesso Paolo suo fratello, ed è assai più probabile che gli sia stala scrìtta dall1 Inghilterra, o forse ancor dall* America, e perciò un tal racconto non merita fede alcuna. Vegniamo alla parte III del tomo settimo, che essendo tutta impiegata nel ragionare degli studi dell1 amena letteratura, io mi lusingava che appena potesse contener cosa che agli occhi di un severo teologo sembrasse degna di correzione. Ma è troppo illuminato il zelo di V. P. reverendissima per non trovare difetti, ove un occhio men fino non sapprebbeli ravvisare. Parlando a pag. 53 di Ersilia Cortese, tanto favorita e onorata da Giulio III, ho riportato il passo del Ruscelli, in cui oscuramente accenna le persecuzioni da essa sofferte dopo la morte di quel pontefice, per le quali ella si vide spogliata de’ suoi castelli e delle sue entrate; e ho detto che le espressioni del Ruscelli a me sembra che indichino certamente il pontefice Paolo IV, i Caraffi di lui nipoti, che tanto abusarono del lor potere, e i loro ministri: ma che intorno a ciò non mi è avvenuto di ritrovare più distinte notizie. Qui V. P. reverendissima facendo, per dirlo alla francese, un