Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/107

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Quel primo giorno in cui l'avevo veduta, quella scena del bagno, mi si era fissata dinanzi al pensiero come una visione costante, incancellabile. Vedevo quel braccio e quella spalla nudi; ne scorgevo la bianchezza abbagliante traverso la stoffa degli abiti, traverso i muri e lo spazio che ci separavano. Sentivo contro le mie guance, sotto le mie labbra la morbidezza di quelle forme da Dea. Ci pensavo con insistenza, e mi esaltavo fino ad una specie di vaneggiamento che m'inebriava ma mi lasciava prostrato come un estatico.

Andavo due volte la settimana a Regoledo; sovente mi fermavo due, tre giorni. Si passavano le giornate insieme passeggiando per la campagna, sui monti, remando sul lago, discorrendo di cose alte e belle. C'innalzavamo idealmente al di sopra del mondo, e ci sentivamo uniti in quella comunanza pura d'affetti. Sorvolavamo alla terra come Paolo e Francesca nella purezza del loro amplesso espiatorio traverso l'eternità.

La sua bimba era il solo testimone dei nostri lunghi colloqui; ma non li comprendeva; giocava accanto a noi senza badarci, o c'interrompeva con qualche parola enfatica alla sua maniera. Era un testimonio inconscio che teneva in freno la mia passione, senza tuttavia rendermi schiavo, e lasciandomi tutta la libertà di parola. Era come un uscio socchiuso, come una finestra aperta; che non impediscono di parlare, ma ci obbligano a farlo con un certo riserbo.

Ed era un incentivo di più.

Ci chiamavamo amici; ci stringevamo la mano. Ma, sotto quell'apparenza di pace mistica, io mi sentivo la tempesta nel cuore.