Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/11

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una caduta, perchè ne serba un contorcimento doloroso; lo specchio del camino è così vecchio e scrostato che quando mi ci guardo, mi vedo colla tinta plumbea d’un cadavere; e nella cornice sono piantate due fotografie di persone sconosciute, ingiallite come papiri. Hanno l’impronta decrepita dei ritratti dei morti. Sono figure di giovinotti che potrebbero avere la mia età; ma io ci penso come a gente che avesse vissuto cinquant’anni sono, e se dovessi incontrarli per caso, crederei di vedere dei fantasmi.

Ogni volta che entro nella mia camera, mi vien voglia di piangere. Tutti quei mobili sembrano dirmi:

— Non ti conosciamo, non ti abbiamo posto affetto, ci prestiamo per forza a servirti; vattene, lasciaci in pace.

Per fortuna in mezzo a queste mobiglie avariate c’è il mio pianoforte, lucido, bello, colle maniglie e le borchie dorate, e questo è mio, mi consola, ci vogliamo bene. Quando lo desidero, mi parla colla sua voce dolce, mi fa sentire le sue melodie infinite, mi ripete i miei sogni fantastici, e pare che mi dica:

— Fa cuore Augusto; io ti rimango, sono l’amico dei giorni tristi, ti renderò la ricchezza che hai perduta, e con essa anche l’ebbrezza delle gloria.

Fui sempre amantissimo della musica. Ma ora la sento con quella potente passione dell’arte che fa i grandi artisti ed i grandi lavori. Studio immensamente; fino alla prostrazione; fino a quel grado estremo di tensione, in cui l’intelligenza, a forza di secondare dei movimenti meccanici che si ripetono all’infinito, smarrisce la coscienza di sè, e lascia la parte materiale del mio essere a persistere sola in un esercizio monotono e quasi automatico.