Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/111

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in piedi smanioso protendendo le mani anch'io, e mettendo delle interiezioni inarticolate, dei sì ripetuti e sommessi, incapace di concepire un pensiero chiaro, o di dire una parola.

Ma fu un minuto. Le gelosie si chiusero e non vidi più nulla.

C'era un chiaro di luna splendido. Andai giù giù in fondo al giardino, e mi posi a sedere presso una siepe che divide il giardino dall'orto.

Di là vedevo la casa staccarsi dal fondo plumbeo del cielo, e distinguevo fra le altre quella finestra chiusa, nella facciata illuminata melanconicamente da quella luce bianca.

Nello stagno gracidavano le rane e tratto tratto si udivano fare il tonfo nell'acqua. E dietro a me, in lontananza, ad intervalli regolari, sentivo l'urto freddo dell'onda sulla spiaggia; mi pareva che mi spruzzasse d'acqua gelata.

Pensavo delle cose insensate!

Se il mondo stesse sempre in questa luce scialba ed in questo silenzio, non si ridesterebbero i bisogni materiali. Non si ha fame, non si prepara una tavola a chiaro di luna: non si scrive, non si legge, non si lavora, non si combinano affari. È una luce fantastica, non è la luce regolare della vita. Se fosse sempre così, potrei prendere l'Eva per mano, e traversare il mondo con lei, e farla mia alla faccia del cielo senza che nessuno lo trovasse irregolare e mi dicesse: Perchè?

Il mondo dormirebbe.

E mi figuravo una casetta isolata in mezzo a quel pallido riflesso d'argento che mi faceva una specie di velo agli occhi ed alla fantasia. Ero là coll'Eva, ma ci sentivamo oppressi da quella luce illusoria e