Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/112

Da Wikisource.

metallica; ci pareva una limitazione della vita; e desideravamo ardentemente il sole col suo splendore.

Ma appena nel mio pensiero evocavo il chiarore vivo del sole, la visione svaniva, e tra me e la mia donna si rizzavano i suoi legami legittimi, le leggi del mondo, ed il mio giuramento.

Mi ero steso supino, colle mani incrociate dietro il capo e gli occhi fissi nella faccia tonda della luna. Mi sentivo snervato. Non avevo la forza di rizzarmi per andare all'albergo. A lungo fissare quella superficie lucida e chiara i miei occhi si stancarono. Li chiusi per riposarli, ed a poco a poco le mie visioni si confusero colle immagini vaghe dei sogni, in cui, fra tante persone e cose e vicende incoerenti, che passavano senza lasciare traccia nè memoria, tornava sempre la bella figura commossa dell'Eva.

Ero passato traverso un tempo infinito, e tanti avvenimenti meravigliosi ed improbabili da riempire la venerabile esistenza di dieci patriarchi; e tornavo a trovarmi per la centomilesima volta inginocchiato dinanzi all'Eva, e lei si ritraeva impaurita, di quella paura debole e sgomenta che teme d'esser vinta e rivela l'amore; ed io mi trascinavo sulle ginocchia stendendo le braccia per raggiungerla, quando sentii l'impressione soave d'un bacio sopra un'occhio, e poi sopra l'altro. Qualche cosa di tenero, di lievissimo, di carezzevole, che mi fece correre un brivido fino al cuore, e mi scosse tutto.

Era lei. In quel momento mi parve di morire. Mi passò dinanzi, come una visione nera, il mio giuramento, l'ombra di mio fratello; mi sentii colpevole, spergiuro, e stesi le braccia per abbracciare la colpa, mormorando fra i baci: Eva!