Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/140

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Era l'appoggio del mio avvenire, delle mie speranze. Era un deposito sacro, e costui l'ha disperso per il suo lusso da sibarita. Da domani dovrò pensare a guadagnarmi il pane, perchè tuo fratello mi ha rovinato.

Rimasi atterrito. Per Leo rinunciare alle lettere era come per me rinunciare alla musica; un immenso sacrificio. La letteratura a cui aspirava non era quella degli articoli da giornali, delle novelline, delle cosuccie, che fanno vivacchiare bene o male di mese in mese, finchè a poco a poco si raggiunge una specie di notorietà circoscritta ad una provincia, e dovuta piuttosto alla insistenza del nome che torna a farsi leggere ogni giorno, che al merito dello scrittore. Leo aspirava all'arte grande e nobile che consacra degli anni ad un lavoro, che ci mette uno studio fine, profondo, coscienzioso, che non pensa al lucro, ma al bene che potrà fare all'umanità. E la letteratura, intesa a questo modo, non è una professione che faccia vivere; almeno richiede un'agiatezza che dia il tempo d'aspettare lungamente i frutti d'una fatica, che tardano sempre a maturare e molte volte non maturano affatto.

Se avesse voluto accettare il mio patrimonio in compenso del suo; quel denaro odioso che mi ricordava la sfiducia di Marco nella mia riconoscenza! Mi provai a proporglielo.

— Io sono ancora ricco, Leo. Ti rimborserò.

— Vi sono molti creditori - mi rispose, - e tutti hanno diritti uguali ai miei. Una gran parte sono poveri, sono gente che lavora, e che aveva affidato il frutto dei suoi lunghi e difficili risparmi ad un uomo che l'ha sprecato, che li ha derubati.