Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/152

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che per scriverti questa lettera. Sono stato verboso come lo sono sempre gli uomini nel dolore. La felicità non ha espressioni; il linguaggio umano non la rende, e nell'eccesso della gioia si piange come nell'eccesso della sofferenza. Ma l'afflizione ha tutto il vocabolario per sè; la vita è tessuta di tanti crucci, che tutti gli uomini portano il loro contingente all'espressione della pena, ed ogni lingua è ricca nella manifestazione della tristezza.

Ho cominciato a scriverti appena giunto qui. Erano le otto; tu dovevi dormire ancora. Ero partito da Regoledo alle cinque e mezzo del mattino. Tutta la casa era chiusa; tutti dormivano, fuorchè quell'unico servitore che m'aveva svegliato.

Da qualche tempo c'era troppa gente nel tuo romitaggio; non era più un romitaggio, non si chiamava più Silenzio. Stamane aveva ripreso il suo aspetto solitario ed il suo nome. Mi pareva triste quella villa bianca, nella luce melanconica e nebbiosa dell'alba d'autunno. Ma era una tristezza calma e fredda, una tristezza di tomba. Pensavo che nessuno avrebbe creduto mai che là dentro s'era agitata una tempesta di passione, una lotta disperata tra l'amore ed il dovere; e che quel povero viaggiatore, vestito e composto come tutti gli altri, e grottescamente carico della sua valigia e del suo ombrello, era l'uomo che aveva combattuta quella lotta crudele contro sè stesso, e n'era uscito vincitore, ma atterrato, distrutto.

Arrivando qui, posai la valigia e mi posi a scriverti. Traccio le ultime parole alla luce del crepuscolo. Vorrei che la mia vita svanisse così come il giorno, perchè le sue ore di luce sono esaurite; senza scosse,