Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/158

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riprendevo la penna coll'animo rassicurato dicendo:

— Ecco. La mia testa s'indebolisce. Sono ammalato. È il principio della fine.

Nella notte mi sentii ardere dal calore febbrile, e mi consolai di vedere affrettarsi il mio male. Non avevo mangiato nulla in tutto il giorno, e provando un grande sfinimento, mi rallegrai di quella dimenticanza. Di proposito non avrei osato commettere la debolezza di lasciarmi morire di fame. Ma dacchè la cosa era avvenuta inavvertitamente, ero contento d'aver aiutato la natura e l'esaltamento del dolore, nella loro opera di distruzione.

Dei giorni che seguirono non ho idea chiara che ad intervalli. Quando, dopo molte ore di svenimento o di delirio, ebbi un momento di risveglio e ti vidi accanto a me, provai un vero sollievo.

La tua presenza mi diceva che stavo male; che ero vicino al termine della mia tortura. Doveva essere un caso disperato il mio, per averti indotto a lasciare tutti i tuoi impegni per venire.

La morte s'avvicinava, e provavo una specie di gloria nel dare così la mia vita in olocausto all'onore dell'Eva, alla sua pace. Lo sforzo di tacere, di non piangere, di non invocarla col grido della disperazione, lo facevo colla voluttà del martire che si strazia per la sua fede.

Ma il tuo cuore ha saputo trovare un rimedio eroico per farmi vivere.

Quando hai aperto l'uscio della mia stanza, e, colla rassegnazione d'un uomo disperato, hai introdotta l'Eva e l'hai lasciata sola con me, tutt'i miei propositi di sacrificio e di morte sono svaniti.