Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/159

Da Wikisource.

Dacchè quella donna era venuta, non era più una vita di sterili rimpianti che m'aspettava, ma l'esistenza attiva, palpitante, creatrice dell'uomo amato che vive, opera, lavora per un'altra esistenza legata alla sua; che ha sempre una gioia da ricordare ed una gioia da sperare; che non conosce lo scoraggiamento o l'indifferenza, perchè, nel bene e nel male, ha da sperare o da tremare per un essere caro.

E dacchè tu, il giusto inesorabile, me l'avevi condotta, avevi dunque compreso che il mio sacrificio era superiore alle forze umane e agli umani doveri. Capivi e perdonavi quell'amore irresistibile che lottava colla virtù, e non era vinto che dalla morte.

Quando l'Eva si curvò sul mio letto, e mi sollevò il capo amorosamente fra le sue braccia, e mi chiamò il suo Augusto, e mi baciò, e mi carezzò la fronte come avrebbe fatto una madre con un bambino malato, io rimasi immobile, ed accettai passivamente le sue carezze.

Era una di quelle gioie che prostrano, che magnetizzano. Mi sentivo amato, vedevo l'amore nei suoi occhi, e lo contemplavo, paralizzato come un estatico nella contemplazione del paradiso.

Non avevo la forza di dire una parola.

Ad un tratto la mia gioia si offuscò. Ebbi una visione mesta. Pensai che stavo per morire, che mi avevano concesso di vederla per l'ultima volta. Ed in quel momento, dopo quel ritorno improvviso alla speranza, l'idea della morte, che fino allora m'aveva consolato, mi fece piangere.

Chinai il capo sul braccio di lei, come per attaccarmele, per trattenerla, per assicurarmi di poter morire così; e le mie lagrime caddero, e scivolarono