Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/178

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Finalmente udii il fischio della macchina, poi il rombare pesante e cupo in lontananza, poi il rombare più forte, più forte, poi lo sbuffare affannoso degli stantuffi, tutti quei rumori che annunciano ancora ed ancora l'arrivo, e tengono l'animo sospeso, ed eccitano l'impazienza fino alla rabbia.

Quando Dio volle, il convoglio si fermò. Mi posi a guardare nelle carrozze con un tal batticuore, una agitazione così grande, che urtavo le persone, vacillavo, mi reggevo male.

Avevo quasi perduta la speranza, quando, dallo sportello aperto dell'ultima carrozza, vidi un piedino calzato d'uno stivalino color di bronzo a ricami neri ed il fondo d'una gonna color marrone. Conoscevo quell'abito corto ed indovinavo il piede che si nascondeva in quel serio stivalino da viaggio.

Eravamo d'accordo di trovarci soltanto a Chiasso, e l'Eva se ne stava là rincantucciata, senza sporgere il capo, aspettando di ripartire.

Mi mancava il coraggio di affacciarmi a quella carrozza. Vedevo l'Eva, e mi pareva impossibile che proprio fesse venuta per me. Tremavo che avesse a sdegnarsi di questa supposizione come d'un'ingiuria.

M'era bastato di vedere la punta del suo stivalino, per comprendere che non si getterebbe nelle mie braccia come avevo sognato, che io non oserei attirarcela, che avevamo ancora una grande barriera di riserbo da vincere.

Mi accostai pian piano; salii sul predellino della carrozza senza dir nulla, a costo di spaventarla. Ella non alzò gli occhi a guardarmi in viso. Mi credette un viaggiatore che volesse entrare, e si scansò un pochino per farmi posto. Allora le dissi a bassa voce: