Pagina:Torriani - Senz'amore, Milano, Brigola, 1883.djvu/109

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La zia Giuliana disse che, fra le cuoche che s'erano offerte, quella era la migliore per ogni rispetto, ed il professore, sempre brontolando che era una beghina, una baciapile, un'ignorante, finì per accettarla al suo servizio.

E beghina era infatti la Cecchina. Ogni mattina, prima d'andare dai padroni, entrava in chiesa a sentire la messa, e la sera, nel tornare a casa sua, passava ancora a dire un'Avemmaria. Ma era laboriosa, discreta, onesta; e la zia Giuliana, che badava a mantenere l'ordine della famiglia ed era tollerante per il resto, lasciava che suo fratello gridasse contro la «strana confusione d'idee di quella donna e gli errori grossolani, e fatali al progredire della civiltà», e si teneva preziosa la nuova serva, e le pigliava a voler bene, e la interrogava sul suo passato.


C'erano degli episodi strazianti, delle scene tragiche in quell'esistenza oscura e desolata.

La Cecchina era figlia d'un salumaio di Como, che aveva un po' di quattrini e soltanto quattro figlioli; tre maschi e quell'unica fanciulla. S'era maritata a diciassette anni con un uomo vicino ai quaranta, che aveva una vecchia relazione con una mugnaia di Borgovico.

Naturalmente, di quella relazione la Cecchina non ne sapeva nulla allora; ma il marito, che era