Pagina:Torriani - Tempesta e bonaccia, Milano, Brigola, 1877.djvu/168

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«Ed intanto provavo un’interna curiosità di sapere cosa accadesse nel cuore chiuso di Welfard in quell’ora di separazione. Soffrivo di non vederlo afflitto, e mendicavo un rimpianto.

«— Gualfardo..., cominciai.

«— Non parlate, Fulvia, mi rispose, io potrei accorgermi che siete commossa, e rimproverarvi un’altra volta le irresolutezze del vostro carattere.

«— O Gualfardo, i vostri rimproveri sono crudeli.

«— Lo so, Fulvia, e ve ne domando perdono. Ma è necessario parlarci francamente per evitare degli equivoci, le cui conseguenze sarebbero dolorose per entrambi. Voi avete troppa immaginazione. Vi siete figurata una felicità che non esiste. Vi siete fatto uno di quegli ideali inebrianti, che hanno d’uopo per realizzarsi di tutta la somma di pregi che la natura ha ripartito in scarse dosi fra gli uomini, senza la larga parte di difetti che ciascuno di essi possiede. Voi volete la bellezza elegante, e la maschia espressione della forza; volete gli impeti inconsiderati della passione, e la pace dignitosa del sentimento legittimo; volete l’imprudenza giovanile, ed il decoro; volete un insieme di cose che non si possono associare. Un giorno trovaste in me alcune delle qualità del vostro ideale, e mi amaste per esse; poi ne scontraste in un altro qualcuna più saliente, ed amaste lui; in realtà non amate nè me, nè lui, nè un altro; è