Pagina:Torriani - Tempesta e bonaccia, Milano, Brigola, 1877.djvu/186

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«Gualfardo mi strinse ancora le mani, poi me le lasciò cadere susurrandomi:

«— Brava!

«Era una parola crudele. Mi diceva che liberandolo da me lo aveva salvato. Eppure mi fece del bene. Il suo amore era perduto per me. Mi era ancora un conforto la sua stima.

«Ma il babbo disse con tristezza:

«— Ci vorranno almeno otto o dieci giorni. Il vostro paese è tanto lontano! Non avrò tempo a vedervi uniti!

«Allora fui io che presi la mano di Gualfardo, e traendolo accanto al letto dissi:

«— Tu avrai tempo a vederci sposi, ed a vivere con noi molti anni, babbo. Ma per farti piacere noi ci uniamo ora qui; davanti a Dio e davanti a te; tu ci benedirai, e sarà come se fossimo già sposati.

«Ed alla mia volta susurrai a Gualfardo: «Perdonate.»

«Egli comprese ch’io non davo valore a quella cerimonia; che volevo soltanto ingannare pietosamente il povero malato; ancora una volta mi disse: «Brava!» e s’inginocchiò accanto a me, ed il babbo congiunse le nostre mani e ci benedisse.