Pagina:Torriani - Tempesta e bonaccia, Milano, Brigola, 1877.djvu/212

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rimasi assorto cogli occhi fissi alle finestre della casa di contro, pensando con un misto di gioia e di rimpianto, quanto ero stato amato.

L’incontro inavvertito di Fulvia a Genova durante il mio viaggio di nozze, mi vendicò un momento di tutti i sarcasmi ch’ella aveva lanciati alla mia povera metafora della spinite.

Ma la sua poca curiosità riguardo al mio matrimonio e quelle parole: M’ero accorto che eravate un marito ed una moglie, le quali, senza parere, avevano un fondo di canzonatura, mi irritarono al sommo grado.

Così quella lettura procedette lenta; avevo acceso il lume da un pezzo, ed il mio orologio sonava le dieci e mezzo, quando giunsi all’ultima pagina a cui era incollata la lettera, fredda, amara, disillusa come il pensiero del suicidio.

Benchè fossi da otto giorni, quello che Fulvia soleva chiamare derisoriamente, un buon uomo ammogliato con prole, tutto il mio sangue ribollì al leggere quella lettera, come il sangue di un giovinotto.

Mi alzai, presi il cappello in furia come se dovessi andare di quel passo sul Monte Bianco a trattenere Fulvia sull’orlo d’un precipizio.

Al momento d’uscire m’accorsi che ignoravo completamente dove andassi. Allora pensai a confrontare le date. Ma tra la mia grande agitazione, tra l’abi-