Pagina:Torriani - Tempesta e bonaccia, Milano, Brigola, 1877.djvu/213

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tudine di Fulvia di non precisarle, non mi riuscì di comprendere perfettamente da quanti giorni quella lettera fosse scritta.

Una cosa però era sicura. Che Fulvia non voleva impostarla che al momento d’imprendere la salita; e però, se il piego era giunto a me, Fulvia era partita al tempo stesso per la sua triste destinazione; ed a quell’ora..... Un brivido mi corse nelle vene.

Questa volta uscii di corsa sapendo perfettamente dove andare. Al mio club si ricevevano moltissimi giornali, e c’erano degli alpinisti appassionati che raccoglievano tutte le notizie di ascensioni pericolose.

Ma nulla di notevole, e sopratutto nessuna disgrazia aveva accompagnato le ultime gite al Monte Bianco.

Questo non mi calmò. Conoscevo il carattere di Fulvia. Profondamente onesta, era incapace di avermi scritto una cosa che doveva addolorarmi, senza essere ben decisa a quanto annunciava.

D’altra parte la lentezza e la calma con cui aveva presa quella risoluzione, la freddezza con cui ne parlava, provavano la sua profonda delusione, lo sconforto che le era entrato nel cuore.

Fulvia, malgrado le angoscie del dubbio, che sono l’eterno tormento dell’umano pensiero, era profondamente religiosa. Il materialismo, — che per lei era la mortalità dell’anima, il nulla, — le faceva orrore.