Pagina:Torriani - Tempesta e bonaccia, Milano, Brigola, 1877.djvu/214

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Tuttavia la sua religione non poteva averla trattenuta dal passo fatale che mi annunciava. Altre volte avevamo parlato del suicidio. Ella non lo credeva una colpa, in una persona che non è utile a nessuno sulla terra.

«— È un atto di coraggio, mi diceva. Quelli che chiamano il suicidio una viltà non possono esserne convinti. Mi sembrano certe mamme che dicono ai loro bimbi: «Badate a non far capricci, perchè codesto fa diventar brutti.» — Essi dicono alle masse: «Se qualcuno di voi si uccide, il mondo lo chiama vile.» Ma è un inganno pietoso che gettano dall’alto della loro sapienza a noi ignoranti, per impedirci di ucciderci. L’attaccamento alla vita e il terrore dell’ignoto sono due istinti possenti in noi. Anche i più entusiasti credenti provano un senso di ribrezzo istintivo al momento di rinunciare al loro modo di essere attuale, sebbene credano con certezza che continueranno ad esistere sotto forme migliori. Ci vuol dunque del coraggio per superare tutte codeste ripugnanze e rinunciare volontariamente alla vita.»

Questi brani di discorsi sconnessi, queste opinioni avventate, mi tornavano in mente orlati a nero come tanti documenti funebri, comprovanti la morte di Fulvia.

Ed intanto andavo come un matto per Milano. Entravo nei teatri senza pensarci, arrivavo in platea