Pagina:Torriani - Tempesta e bonaccia, Milano, Brigola, 1877.djvu/217

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Partii col primo treno. Mi cacciai in un angolo del convoglio e rilessi tutto il manoscritto di Fulvia, senza risentire più il menomo senso di amarezza o di risentimento.

Ora che sapevo a che fine l’aveva condotta il mio amore, sentivo la sua superiorità ed i miei torti.

Povera Fulvia! quanto mi amava! e come nobilmente m’amava! Perchè non avevo saputo renderle quell’amore passionato ch’ella sognava e che meritava tanto. Contenderla al suo fidanzato, al suo dovere, a lei stessa? Povera Fulvia! Come sarei stato felice con lei! E sospiravo sul mio stato presente; e quei sospiri la vendicavano.

Non tenni conto del tempo, dei cambiamenti di treno, delle fermate, di nulla.

Non avevo che un pensiero: «Fulvia.» E lo elaborai per tutto il viaggio. Non attendevo che una parola: «Chamounix.»

Finalmente, quando Dio volle, senza saper come, mi trovai arrivato.

Scesi all’albergo, e per prima cosa m’informai se non erano accadute disgrazie nelle ultime salite al Monte Bianco.

— No, nessuna disgrazia.

Là almeno non mi credevano pazzo. La domanda era naturale. Potevo avere un fratello, un babbo, un figlio alpinista, di cui mi mancassero notizie.