Pagina:Torriani - Tempesta e bonaccia, Milano, Brigola, 1877.djvu/67

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Questa risposta, anzichè addolorarmi, mi colmò di gioia. Ella non aveva mentito. Era sempre quella donna nobile e leale, incapace di finzione e di calcolo. Ancora una volta mi pentii di averla calunniata nel mio pensiero.

— Ebbene, le dissi, amatemi come un fratello; e non pensiamo ad altro, e speriamo nell’avvenire. — E suggellai quelle parole fraterne con uno di quegli sguardi in cui l’amore ha stillato tutto il suo nettare e tutto il suo fiele.

Ma ella piangeva ed io era triste.

Pensavo che quella donna non sarebbe mai mia, e sarebbe un giorno d’un altro. Pensavo che questo altro era stato amato da lei, non fosse che un’ora, quando gli aveva fatto quella promessa. Ma tali promesse chi pensa a mantenerle quando è cessato il sentimento che le ispirava? Ed a che servirebbe? — Perchè dunque Fulvia sposerebbe un uomo che non ama più, ella così sincera, invece di dirgli francamente: «Io non vi amo più; non potrei farvi felice; per la felicità che vi tolgo, vi ridono in compenso la vostra libertà.» — Perchè? Questo vincolo aveva qualche cosa di misterioso ai miei occhi. Fulvia era libera e sola; era stata innamorata — viveva sul teatro... Il dubbio mi entrò ancora una volta in cuore.

— Questo matrimonio dev’essere per lei una riparazione, dissi tra me. — È chiaro. Per quell’uomo