Pagina:Tozzi - Con gli occhi chiusi, Milano, 1919.djvu/227

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tro. Era lungo e magro: uno di quei cavalli dalla testa alta e le mandibole enormi. Tra i finimenti, su cui luccicavano le borchie d’ottone, tutte le sue costole si dilatavano nel respiro. Un filo d’avena gli era rimasto tra le labbra grinzose, infilato sotto il morso. Si sorreggeva, appoggiandosi agli stanghini. Puzzava di sudore.

Pietro aprì lo sportello della carrozza, su la quale era dipinto lo stemma postale. Ghìsola salì, a capo basso. Poi fece comprendere che voleva essere baciata; e Pietro la baciò; ma le avrebbe detto: «Non sta bene qui!». Ella sorrise, a sè stessa, di lui; mentre la diligenza si moveva.

Dopo aver dato un’occhiata ai due che le sedevano dinanzi, come se prima non se ne fosse nè meno accorta, abbassò un’altra volta il capo e impallidì: aveva sentito una trafitta della maternità.

Pietro, con angoscia quasi mortale, aspettò invano che si volgesse.



Verso settembre, andò a trovarla a Radda.

Questo paese, il cui mucchio di case si continua a vedere, prima di arrivarci, per parecchi chilometri in fondo a un bosco, in cima a una collinetta, è così silenzioso che si ode parlare dentro le case dalla via.