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Pagina:Tozzi - Giovani, Treves, 1920.djvu/30

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un’osteria 23


Giulio, e anch’egli non era più beffardo, le chiese:

— È di lontano?

— Di Faenza.

— Ha i genitori là?

— La mamma sola.

Era vero? Ci fece l’effetto che non volesse dir niente, con quella malizia antipatica e debole che imparano le donne. Io me l’immaginai quando andava a scuola: graziosa e diligente, ma un poco grossolana e furba.

Incominciò a mangiare, intimorita tutte le volte che le pareva parlassero di lei o la guardassero ironicamente.

Allora tacemmo.

Un treno passò sul ponte, quasi sopra la nostra testa; e tutta la stanza tremò. Poi, silenzio un’altra volta.

— Piove ancora? — io chiesi al padrone. Egli aprì la porticina e disse, ma rivolgendosi ai facchini invece che a me:

— Ora viene la neve.

— La neve?

— Nevicherà fino a domattina.

Io, scherzando, detti un pugno su le spalle di Giulio; e dissi: