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canto, arrossivano e si vergognavano; ma egli, da ragazzo di buona famiglia, non le guardava nè meno se non erano accompagnate.

Leggeva il Petrarca e faceva qualche sonetto: altri libri, del resto, non gli erano nè meno mai capitati. Ma era nato con certe qualità d’animo non comuni tra gli abitanti di Chiusdino. Aveva avuto sempre paura che suo padre fosse troppo severo con i contadini. Perciò quando sapeva di qualche ordine da dare, trovava il modo per non esserci presente. Aveva sempre bisogno di pensare cose per le quali si potesse sentire buono e apprezzato. E non c’era bontà ch’egli non conoscesse prima degli altri; secondo l’opinione che si faceva di sè medesimo.

Quando, la sera d’estate, esciva a spasso con il dottore o con l’arciprete, se un usignolo cantava, egli aveva l’aria di dire: voi ascoltate ora la sua voce, ma io lo sapevo che vi sarebbe piaciuta.

Una volta, a Siena, camminando insieme con il suo amico Rocco Materozzi, credette che all’improvviso potesse perdere qualunque legame di quell’amicizia.

— Mai mai pensato tu, — gli disse, — che noi