Pagina:Tragedie, inni sacri e odi.djvu/399

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nota 369



L’idillio Adda fu mandato dal Manzoni al Monti con una lettera del 15 settembre 1803. Fu stampato nel 1875, postumo, da G. Gallia, in una commemorazione di G. B. Pagani, nei Commentari dell’Ateneo di Brescia; e poi da C. Romussi, nel 1878. avanti al Trionfo della Libertà, p. 146-51.


I Versi in morte di Carlo Imbonati furono la prima volta stampati a Parigi, coi tipi di P. Didot il maggiore, nel 1806. Alla p. 15, dove la poesia finisce, è detto: «Tirato a 100 esemplari». Questa è l’unica edizione dell’autore; ed è quella che seguiamo. Furon poi subito, ai primi dell’aprile, ristampati in Milano a cura dell’amico G. B. Pagani, con un’ampollosa e inopportuna dedica al Monti, che molto dispiacque al Manzoni. Cfr. Carteggio, I, 33 e 37 ss.


Gli sciolti A Parteneide son dell’autunno 1809. Rispondono a una ode del poeta danese Jens Baggesen, intitolata Parteneide a Manzoni, che il Bonghi (Op. ined. o rare, I, 136-7) dà tradotta. Un brano di questi versi stampò prima il Sainte-Beuve, nel saggio sul Fauriel, il 1845 (Portraits contemporains, Paris, 1889, vol. IV, p. 200), e ristampò nel 1974 lo Stoppani, I primi anni di A. M., p. 231; li stamparon poi tutti il De Gubernatis (Il Manzoni e il Fauriel, p. 10-2) e il Bonghi. — Per la data e per l’interpretazione di questo componimento, è da vedere l’arguto scritto di Manfredi Porena, nella Miscellanea di studi in onore di A. Hortis, Trieste, 1910.


Il poemetto Urania fu la prima, o l’unica volta, pubblicato dal poeta in Milano, dalla Stamperia Reale, nel 1809. Sull’ultima pagina (24) dell’opuscolo è detto: «Stampato per cura di L. Nardini, ispettore della Stamperia Reale». — Riproduco esattamente questa stampa.


L’Ira d’Apollo fu pubblicata la prima volta nell’Eco, giornale di scienze, lettere, arti, commercio e teatri, il lunedì 16 novembre 1829 (Milano, a. II, n. 137). Vi furon premesse questo parole: «Allorchè si cominciò a quistionare tra i romantici e i classicisti, certo Grisostomo pubblicò una lettera semiseria, in cui fra le altre coso volle escludere dalla poesia la mitologia greca. Mentre molti gridavano contro quella temerità, sì vide venire, senza saper d’onde, una canzone che fu molto lodata. Eccola, come fu rinvenuta fra le carte di un galantuomo che morì tre settimane sono». Fu ristampata di su una diversa copia manoscritta dallo Stoppani (I primi anni di A. M., Milano, 1874, p. 187); e poi di sull’autografo dal Bonghi, che io seguo. Le varianti che dà il Bonghi (Op. ined. o rare, I, 153 ss.) son molte; ma mi è parso superfluo ridarle qui. — Tra le carte del Fauriel, che ora si conservano nella Biblioteca dell’Istituto di Francia, l’amico G. Gallavresi mi segnata pure «un autografo, con varianti, dell’Ira d’Apollo». E sulla copia fattane da Gianmaria Zendrini, professore di storia naturale nell’Università di Pavia, e grande ammiratore del Manzoni e raccoglitore d’ogni sua briciola (morto nel 1858), il Bonghi (I, 79) lesse questa notizia: «Ode