Pagina:Tragedie, inni sacri e odi.djvu/417

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a parteneide 387

     Se non di fiori; e sol di questi vaga,
     Fra i color mille, onde splendea distinta
     60La verdissima piaggia, or la vïola,
     Or la rosa sceglieva, or l’amaranto,
     Tal che Matelda rimembrar mi féo,
     Qual la vide il divin nostro Poeta
     Ne l’alta selva da lui sol calcata.
     65Ed ecco alfin, del mio venire accorta,
     Volger le luci al pellegrin parea
     Piene di maraviglia, e la rosata
     Faccia levando, mi parea guardarlo,
     E sorridere a lui come si suole
     70Ad aspettato. E quando io de la diva
     Bellezza innebrïato e del gentile
     Atto, con l’ali de la mente a lei
     Appressarmi tentai, se udir potessi
     Come in cielo si parla, affaticate
     75Caddero l’ali de la mente, e al guardo
     Tacque la bella visïon. Ma sempre
     Da quel momento la memoria al core
     Di lei ragiona. E quando in sul mattino
     Leve lo spirto dal sopor si scioglie
     80(Allor per l’aria de’ pensier celesti
     Libero ei vola, e da le basse voglie
     De la vita mortal quasi il divide
     Un deserto d’obblio), sempre in quell’ora,
     Più che mai bella, quella eterea Virgo
     85Mi vien dinnanzi. Or d’oro e d’onor vani
     Nessun mi parli; un solo amor mi regge,
     Sola una cura: degli Orobi dorsi
     Rivisitar l’asprezza, e questa Diva,
     Deh! mel consenta! accompagnar primiero
     90Per le italiche ville pellegrina.
     Che se l’evento il mio sperar pareggia,
     Se nè la vita nè l’ardir mi falla,
     Forse, più ardito condottier già fatto,
     Ti piglierò per mano; e come valgo,
     95Maraviglia gentile alla mia sacra