Dolor chiedea; Pietà, de gl’infelici
Sorriso, amabil Dea. Feroce e stolta
Con alta fronte passeggiar l’Offesa
Vider, gl’ingegni provocando, e mite 250Ovunque un Genio a quella Furia opporsi,
Lo spontaneo Perdon che con la destra
Cancella il torto e nella manca reca
Il beneficio, e l’uno e l’altro obblia.
Blando a la Dira ei s’offeria: seguace 255Lenta ma certa, l’orme sue ricalca
Nemesi, e quando inesaudito il vede,
Non fa motto, ed aspetta. Un giorno al fine
Ne gl’iterati giri, orba dinanzi
Le vien l’Offesa: al tacit’ arco impone 260Nemesi allor l’amata pena; aggiunge
L’aerea punta impreveduta il fianco,
E l’empio corso allenta. Inonorata
La Fatica mirar, che gli ermi intorno
Campi invano additava, a cui per anco 265Non chiedea de la messe il pigro ferro
Gli aurei doni dovuti: a lei compagno
L’Onor si fea; se forse a la sua luce
Più cara a l’occhio del mortal venisse
L’utile Dea. Vider la Fede, immota 270Servatrice dei giuri, e l’arridente
Ospital Genio che gl’ignoti astringe
Di fraterna catena; e tutta in fine
La schiera dia ne l’opra affaticarsi.
Videro, e novo di pietà, d’amore 275Ne gli attoniti surse animi un senso,
Che infiammando occupolli. E già de’ lieti
Principj in cor secure, il plettro e l’arte
Sacra del plettro ai figli lor le Muse
Donar, le Grazie il dilettar donaro 280E il suader potente. Essi a la turba
Dei vaganti fratelli ivan cantando
Le vedute bellezze. Al suon che primo
Si sparse a l’aura, dispogliò l’antico