25Qual se Italia, al chiamar d’esti Anfioni,
Fosse dei boschi e de le tane uscita.
Anzi, fatta da lor donna e reina
La salutaro, o fosse frode o scherno:
D’armi reina, io dico, e di consigli; 30Essa che ai piè de la imperante inchina
Stavasi, e fea di sue ricchezze eterno
Censo agli estrani, e de gli estrani ai figli;
Che regger si dovea con l’altrui cenno;
Che ogni anno il suo tesoro 35Su l’avara ponea lance di Brenno.
È ver; tributo nol dicean costoro,
Men turpe nome il vincitor foggiava.
Ma che monta, per Dio! Terra che l’oro
Porta, costretta, allo straniero, è schiava.
40E svelti i figli ai genitor dal fianco,
E aprir loro le porte, ed esser padre
Delitto, e quasi anco i sospir nocenti;
E tratti in ceppi, e noverati a branco,
Spinti ad offesa d’innocenti squadre 45Con cui meglio starieno abbracciamenti.
Oh giorni! oh campi che nomar non oso!
Deh! per chi mai scorrea
Quel sangue onde il terren vostro è fumoso?
O madri orbate, o spose, a chi crescea 50Nel sen custode ogni viril portato?
Era tristezza esser feconde, e rea
Novella il dirvi: un pargoletto è nato!
Nè gente or voglio cagionar dei mali
Che lo stesso bevea calice d’ira, 55Nè infonder tosco ne le piaghe aperte;
Ma dico sol ch’è da pensar da quali
Strette il perdono del Signor ne tira,
Perchè sien maggior grazie a Lui riferte.
Chè quando eran più l’onte aspre ed estreme, 60E, al veder nostro, estinto