Pagina:Tragedie, inni sacri e odi.djvu/448

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tratto esclamava: Qualche cosa faremo!»1 E che qualche cosa avrebbe saputo fare davvero, il Manzoni, scrutatore profondo di animo, ebbe subito fede. Poche sere dopo, all’amico Berchet ch’ei rivide presso gli Arconati a Pallanza, egli disse, alludendo a Cavour: «Quell’omino prometto bene assai!».



Cavour non era precisamente un uomo di lettere: odiava la rettorica e i parolai, i declamatori e i fantasiosi. Ma venerava i poeti veri e d’ispirazione divina. Vedeva in essi gl’inviati o gli araldi della Provvidenza. In un suo discorso alla Camera, del 20 ottobre 1848, venne fuori a dire:

Il gran moto slavo ha ispirato il primo poeta del secolo, Adamo Mikiewitz, e da questo fatto noi siamo indotti a riporre nelle sorti di quei popoli una fede intiera. Perchè la storia ci insegna che quando la Provvidenza ispira uno di quei genii sublimi, come Omero, Dante, Shakespeare o Mikiewitz, è una prova cho i popoli, in mezzo ai quali essi sorgono, sono chiamati ad alti destini.

Per l’Italia del secolo decimonono, il genio che la Provvidenza ci aveva largito, vate e voce del gran moto cui era serbato immancabile il trionfo, era Alessandro Manzoni. E in un altro memorando discorso parlamentare, del 6 febbraio 1855, a proposito della convenienza della spedizione di Crimea, il Cavour, oramai Presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli affari esteri e reggente il portafoglio dello finanze, argomentava:


Taluno mi dirà: e che importa il predominio del Moditerraneo? Questo predominio non appartiene all’Italia, non appartiene alla Sardegna, esso è in possesso dell’Inghilterra e della Francia; invece di due padroni, il Mediterraneo ne avrà tre. Io non suppongo — ripigliava l’italianissimo ministro — io non suppongo che questi sentimenti trovino eco in questa Camera: essi equivarrebbero a una rinuncia alle aspirazioni dell’avvenire: sarebbe un dimostrarci insensibili ai mali onde fu afflitta l’Italia dalle guerre continentali: mali che vennero ricordati così eloquentomento dal nostro gran lirico moderno, quando, parlando dello conseguenze delle guerre che combatteansi dai forestieri

  1. Massari, p. 61.