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Pagina:Tragedie, inni sacri e odi.djvu/472

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442 illustrazioni e discussioni, iii

diche parole, che gl’italiani avevan lette fremendo e non avevan mai dimenticate (I, 2):

          Quel dì che indarno
I nostri padri sospirar, serbato
È a noi: Roma fia nostra: e, tardi accorto.
Supplice invan, delle terrene spade
Disarmato per sempre, ai santi studi
Adrian tornerà: re dello preci,
Signor del Sacrifizio, il soglio a noi
Sgombro darà.


Ora a lui era serbata la fortuna incommensurabile di viver tanto a lungo da vedere la sospirata alba di quel magnifico giorno. Al posto del re barbaro Desiderio, era l’italianissimo re Vittorio; al posto d’Adriano, Pio IX. Un papa costui che, come sovrano, non aveva mai riscosso lo sue simpatie. Al Casanova disse che Pio IX non sapeva quel che si facesse: «lo spingevano avanti, e lui avanti; lo spingevano indietro, e lui indietro». E al Centofanti, che gli rammentava come a buon conto quel Pio avesse nel ’48 pur benedetta l’Italia, egli rispose: «Ma l’ha poi mandata a farsi benedire nel ’49!». Roma finalmente era nostra.

A un benedettino francese il quale gli predicava essere un dovere per l’Italia il lasciar Roma al papato, egli aveva replicato: «E voi gli lascereste Avignone?». «Mais Avignon est à la Franco», quegli rispose. E il Manzoni: «Mais nous aussi nous sommes nés quelque part!».

Sul soglio pontificio s’assideva, per voto di popolo, il Re d’Italia. E il 28 giugno del 1872, i padri coscritti di Roma italiana, quasi a novella ricompensa nazionale, acclamarono cittadini della città eterna i tre più illustri scrittori ancora viventi: il Manzoni, Gino Capponi, Terenzio Mamiani. Perfino la prosa ufficiale del verbale di quella seduta tradisce l’entusiasmo che la nobile iniziativa suscitò. «Con vivi segni di esultanza», vi è detto, «e con plauso simultaneo generale, viene accolta la proposta dall’intero Consiglio, sorto in piedi con commovente slancio come un sol uomo». Il poeta degl’Inni sacri e dell’Adelchi, il polemista della Morale cattolica e lo storico della Rivoluzione