Pagina:Tragedie, inni sacri e odi.djvu/498

Da Wikisource.
468 illustrazioni e discussioni, iv

ginare: non toccare che il fatto, non vedo che si possa fare con de’ termini novi — tanto se n’è detto. Questo non vuol dire che qualchedun altro, e tu principalmente, un bandolo non ce lo possa trovare, ma solamente che non ce lo trovo io.

L’antico utopista non ismentiva sè stesso. Il monumento milanese, le esequie in Duomo e in Santa Croce, sì; ma s’egli avesse dovuto esprimere la gratitudine in nome degl’Italiani, non avrebbe potuto non «distinguere, spiegare, giustificare per ragioni di politica». Insomma, il fulgido ricordo di Magenta e di Solferino era, nella sua mente, inseparabile da quello grigio di Villafranca, di Nizza, di Mentana. Napoleone aveva davvero avuto la coscienza intera dell’immenso «benefizio» che finì col renderci? E di quanto i suoi propositi erano stati sorpassati dalla geniale abilità del grande ministro piemontese, o contrastati dal malvolere del popolo e dei ministri di Francia? Le apparenze almeno lo facevano responsabile e dello strappo angoscioso di quell’ultima città della marina ligure che aveva dato alla patria Garibaldi, e, peggio ancora, del crudele assurdo di un’Italia senza «il suo capo». Onde il costante propugnatore dell’unità, e impenitente oppugnatore del dominio papale, non sapeva risolversi a celebrare l’incomparabile benefizio, senza pur accennare ai «fatti restrittivi, anzi opposti», che l’accompagnarono1.

  1. A mente calda anche Cavour aveva maledetto il trattato di Villafranca; ma tornato ministro, dovè riconoscere e far riconoscere che, «se questo trattato non corrispose alle nostre speranze, non sodisfece i nostri desiderii e lasciò insodisfatte le più legittime nostre aspirazioni, tuttavia sanzionò un gran bene per l’Italia.... Senza i preliminari che condussero a questo grande atto politico, sarebbero stati possibili quegli alti fatti che tanto contribuirono al risorgimento d’Italia, non solo costituendo un regno forte e potente, capace di promuovere nell’avvenire la gran causa italiana, ma altresì facendo risorgere al cospetto del tribunale delle nazioni la riputazione d’Italia?» (Discorsi, vol. XI, p. 85). E quanto alla cessione di Nizza, egli asseriva nell’eloquentissimo Discorso del 26 maggio 1860 (vol. XI, p. 99): «Io potrei dirvi che il compenso del trattato noi l’abbiamo avuto nel trattato di Zurigo, giacchè non possiamo disconoscere che le concessioni strappate all’Austria lo furono in massima parte per opera della Francia. Potrei dirvi che questo compenso noi l’abbiamo ottenuto quando l’imperatore dei Francesi... osava dichiarare al pontefice rispettosamente, ma risolutamente, con la non mai abbastanza celebrata lettera del 30 dicembre, che il suo dominio sulle Romagne era finito. Sì, o signori,