Pagina:Tragedie, inni sacri e odi.djvu/510

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giovanissima moglie. La quale, morendo, lasciava una bambina, l’Alessandrina, che doveva poi andar sposa al marchese Matteo Ricci, nel settembre del 18521.

«Al Manzoni muore in casa la figlia maritata in Azeglio», scriveva da Firenze Gino Capponi a Niccolò Tommasèo, esule volontario a Parigi. «Dicono ch’era matrimonio infelice. E il Manzoni morirà presto, se Dio vuole!». La strana espressione era usuale al Capponi, che anche di sè, nei momenti più difficili, soleva dire: «Pregate Dio che mi ammazzi!». E la frase era forse una inconsapevole reminiscenza biblica. Expedit enim mihi mori magis quam vivere, è scritto nel libro di Tobia (III, 6). E il Tommaseo, male informato dal Cantù, replicava: «Povera Giulia! E povero Manzoni! Non era, credo, matrimonio infelice: egli la amava, ella lui. S’era sfatta nei parti [?]; e aveva l’anima un po’ triviale, e prosaiche le forme. Buona però. Ma il nascere di letterato è disgrazia grande». Oh sì; anche perchè si hanno di codesto irriverenti, inesatte e calunniose commemorazioni funebri!

Gli amici e i tanti ammiratori del sommo scrittore lombardo temettero ch’ei non soccombesse a quegli schianti. La marchesa Costanza Arconati, che il Manzoni venerava e il Tommaseo definiva «una grazia che ignora sè stessa,

  1. Alle nozze, celebrate a Cornegliano, sulla Riviera di Ponente, assistette anche il nonno. Che ne scrisse così alla sua seconda moglie, il 16 settembre: «Il felice matrimonio fu fatto stamane, e io feci il testimonio della sposa, non senza una viva e tenera emozione. Davvero Rina non poteva essere più fortunata. Oltre l’altre ottime doti dello sposo, c’è tra loro una perfetta uniformità di gusti. Per dirtene una che ne fa sottintendere molte, vanno pazzi l’uno e l’altra per i festini, per i teatri, per le feste clamorose, come tu e io! — Dunque per farti la storia della mezza giornata (sono le tre e tre quarti), ti dirò che dopo la ceremonia, e la colazione, alla quale io assistetti come il povero Lazaro alla tavola dell’Epulone (avevo però fatta la mia colazione solita un par d’ore prima), gli sposi partirono; e noi rimasti s’andò a fare una passeggiata lungo il mare turbato, sconvolto, messo in furia da un magnifico libeccio, da far confessare a Stefano che il lago non ha a che far nulla col mare. — La storia degli altri giorni è fatta in quattro parole: mangiare, bere, passeggiare e chiacchierare. Vengono qui ogni giorno a desinare e a passare la sera, Emanuele d’Azeglio nipote di Massimo, e incaricato d’affari a Londra, Villamarina incaricato finora a Firenze, e ora nominato a Parigi, Ricasoli, toscano come te lo dice il nome, e uffiziale nelle truppe sarde — eccellente compagnia, che non lascia mai al tempo il tempo di parer lungo».