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atto primo. — sc. i, ii. | 5 |
Quand’io più non sarò, pietoso amico
Ti rimarrà.... Ch’io l’ami impone, o l’odia
La disumana! E andar chiede a Ravenna
Nel suo natio palagio, onde gli sguardi
Non sostener dell’uccisor del suo
Germano.
Guido. Appena ebbi il tuo scritto, inferma
Temei foss’ella. Ah, quanto io l’ami, il sai!
Che troppo io viva.... tu m’intendi.... io sempre
Tremo.
Lanciotto. Oh, non dirlo!... Io pur, quando sopita
La guardo.... e chiuse le palpebre e il bianco
Volto segno non dan quasi di vita,
Con orrenda ansietà pongo il mio labbro
Sovra il suo labbro per sentir se spiri;
E del tremor tuo tremo. — In feste e giochi
Tenerla volli, e sen tediò; di gemme
Dovizïosa e d’oro e di possanza
Farla, e fu grata ma non lieta. Al cielo
Devota è assai; novelle are costrussi.
Cento vergini e cento alzano ognora
Preci per lei, che le protegge ed ama.
Ella s’avvede ch’ogni studio adopro
Onde piacerle, e me lo dice, e piange.—
Talor mi sorge un reo pensier.... Avessi
Qualche rivale?... Oh ciel! ma se da tutta
La sua persona lo traluce il core
Candidissimo e puro!... Eccola.
SCENA II.
FRANCESCA e detti.
Guido. Figlia,
Abbracciami. Son io....
Francesca. Padre.... ah, la destra
Ch’io ti copra di baci!
Guido. Al seno mio,
Qui.... qui confondi i tuoi palpiti a’miei....