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Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/319

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314 leoniero da dertona.

Ma che t’apprendo? Invano assomigliata
D’Orïente agli stati or questa terra
Da te vorriasi. Altra la féro i nostri
Magnanimi avi, e quale essi la féro,
Privilegi acquistando e sostenendo,
Tal benedirla e raffermarla vuole
Con divin dritto il roman Piero, e tale
Ogni buon la desía. Conosci, o figlio,
Il secol tuo: tua sola gloria sia
Di secondarlo....
Enzo.                         Padre, in me tal sento,
Non so se a’ giusti, ma a’ forti alti istinto,
Ch’io questa gloria ambir potrei; — ma solo
Quando forzato non foss’io. Tu il vedi:
Milan comanda, cingonmi i ribelli;
Ceder viltà saria. Del secol mio
Qual pur siasi lo spirto, a governarlo
Tempo m’avanza; ed arbitro te allora
Di me farò quando ruggir per l’aure
Più non udrò insoffribile minaccia.
Leoniero.A che qui mi chiamasti?
Enzo.                                             A farti noto
Del figlio tuo l’amor; mie vere colpe
A palesarti e l’altrui vero; scampo
Da te un giorno a cercar.
Leoniero.                                        Oggi.
Enzo.                                                  Dall’armi
Oggi è forza cercarlo. Ausilii aspetto
Oggi da Federigo.
Leoniero.                              Empio!
Enzo.                                             Il pentirsi
Non giovería; patto con lui m’avvince
Insolubil per or.
Leoniero.                              D’Arrigo chieggo
La libertà.
Enzo.                    Tu nol conosci: è d’uopo
Ch’egli od io soggiacciamo.
Leoniero.                                             Oh ciel! sua morte