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la data sicura — componeva poi l’Orestèa. Ora io non crederò mai che un drammaturgo, giunto sino ai 64 anni con una facoltà di scolpire, figure sceniche cosí limitata come quella che appare nelle Supplici, arrivasse poi in tre anni, e nella imminente decrepitudine, a sommità che nei secoli venturi doveva attingere il solo Shakespeare. Né si può supporre che Eschilo arcaicizzasse di proposito nel creare i personaggi; ché questa è facoltà connaturata via via con l’artista, e che nessun drammaturgo ha mai abdicata. Né si può invocare il quandoque dormitat per le Supplici, che mostrano in ogni parte pienezza d’ispirazione, e accuratezza di fattura: basterebbe la magnificenza delle parti corali.

Magnificenza che fu talora assunta a dimostrare la relativa modernità della tragedia, e che, secondo me, è invece una conferma della sua arcaicità. In tutta la parabola di sviluppo della tragedia greca, vediamo, come è noto, una costante diminuzione dell’importanza del coro1. L’opera di Eschilo è una parte di questa parabola, e si inquadra perfettamente nella sua sagoma. Naturale, quindi, che nei drammi più antichi appaia piú accurata la parte che per l’autore e per gli uditori aveva maggiore importanza.

Intendo bene che questi argomenti, anche se possono sembrare ben fondati, non saprebbero avere valore assoluto. Ma, per tornare donde movemmo, innegabile e perfetto è il carattere arcaico delle Supplici. Onde, se dell’opera eschilea vogliamo stabilire la cronologia ideale, che è poi la vera, e non di rado può discordare dalla cronologia

  1. Rimando al mio libro Il Teatro Greco.