Pagina:Tragedie di Eschilo (Romagnoli) II.djvu/197

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194 ESCHILO


udite il bando che agli amici lancio,
sin che mi regge il senno. Io, lo confesso,
1110mia madre uccisi, odio dei Numi, obbrobrio
omicida del padre — e fu giustizia.
E chi mi spinse a tale audacia fu,
io me n’esalto, il pitico profeta,
l’ambiguo Febo. Vaticinio ei diede
1115che s’io compiessi il matricidio, immune
d’ogni colpa sarei; se m’astenessi —
la pena non dirò: tanto lontano
di niun cordoglio non saetta l’arco.
Ed or vedete: in questa foggia io movo,
1120con questo serto e questo ramo supplice,
all’umbilico della terra, al piano
d’Apollo e al tempio, e al vampo inestinguibile
del fuoco ascoso: espierò cosí
la consanguinea strage. Ad altro altare
1125ch‘io mi volgessi, Apollo mi vietò.
E un dí, tutti gli Argivi fede facciano
che a questo scempio mi sospinse il Fato:
ch’ora fuggiasco dalla patria, ed esule,
o vivo o morto questa fama io lascio.

CORIFEA


1130Giusta opra fu: di male voci al labbro
giogo non porre, di sinistri augurî.
Felicemente ai due serpenti il capo
hai reciso, Argo tutta hai resa libera.