Pagina:Tragedie di Eschilo (Romagnoli) II.djvu/8

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AGAMENNONE 5

prima scena dell’Agamènnone, il servo che vigila sui tetti, sospettoso, chiaroveggente, prudente. L’araldo è un entusiasta, pieno di sentimento e di fuoco. E, secondaria per l’economia dell’azione, diventa più che principale per potenza d’arte, l’ancella de Le Coefore, che rimane impressa nelle nostre menti con rilievo shakespeariano.

Perfino il Coro esce dal suo carattere, di solito un po’ incolore, un po’ convenzionale, per l’obbligato ufficio gnomico, e partecipa ardentemente alle vicende dell’azione, esprimendo con vigore i suoi sentimenti e le sue passioni, partecipando all’azione stessa, sin dove glie lo permette la sua stabilità nell’orchestra. Nel breve episodio che segue l’urlo di morte di Agamènnone, Eschilo, con genialità somma, frange la arcaica unità, per cui ventiquattro persone si fondevano, all’unisono, a formare un solo uomo; e fa parlare vari coreuti, abbozzando in ciascun d’essi un carattere.

E non insisto in minute analisi, che, precedendo la tragedia, acquisterebbero sapore di doppioni. Ma non reputo superflua qualche osservazione sul carattere di Clitennestra; non tanto per rilevarne la prodigiosa bellezza, troppo evidente alla semplice lettura, quanto per eliminare, intorno alla interpretazione, qualche malinteso, d’altronde derivante dalla sua straordinaria complessità.

Clitennestra è altera. Quando, al principio dell’Agamènnone, annunzia ai vecchi la caduta di Troia, e quelli esitano a credere, le sue risposte sono aspre ed ironiche. L’araldo che giunge a recar notizie dello sposo, non vuole neanche udirlo. I vecchi ateniesi che vogliono vendicare il re ucciso, sono per lei cani. A Cassandra rivolge un