Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) I.djvu/132

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LE BACCANTI 63

corifea
Come no? Chi mi restava, se di te faceano scempio?
Ma com’è ch’ora sei libero? In poter t’avea quell’empio!
dioniso
Io da me, senza fatica, dalla carcere mi tolsi.
corifea
Non t’aveva ei dunque avvinti di catene entrambi i polsi? dioniso
Non potè’ neppur toccarmi: anche in ciò scornar lo seppi:
si nutrí d’illusïone, stringer me pensando in ceppi.
Nella stalla in cui mi chiuse, c’era un toro. Egli, di strambe
gli ravvolse, tutto ardendo di furore, e piedi e gambe:
ed i denti nelle labbra conficcavasi, e grondanti
di sudore avea le membra. Io, tranquillo, a lui davanti
mi sedevo, e lo guardavo. Giusto in quella Bacco arriva,
scuote i muri, e su la tomba di sua madre il fuoco avviva.
Come ciò vede, un incendio Pentèo crede che s’appigli
alla casa, e qua e là va correndo; ed ai famigli,
di portare acqua dà ordine. Mentre invano ognun s’ambascia,
egli immagina ch’io fugga; onde l’opera tralascia,
ed in casa, stretto il ferro, si precipita. Un fantasma
nella corte allora Bacco — Bacco almen parvemi — plasma.
Avventando colpi e colpi sopra questo egli si gitta;
e, credendo me sgozzare, l’aria solo ebbe trafitta.