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Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) I.djvu/192

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IONE 123

messe salde radici nel dramma tragico: e, pure ispirandogli la sua vita profonda, finiva per aduggiarlo, o, almeno, per limitarne certe possibilità. Poiché tutti sapevano fin da principio che la tragedia doveva correre, senza possibile scampo, sulle linee tracciate dal Fato, lo svolgersi delle vicende non poteva suscitar troppo l’interesse degli spettatori, che, infatti, si concentrava tutto sopra altri elementi.

Ma in questi drammi d’Euripide, che diciamo romanzeschi, il Fato ha rallentata la sua stretta. I personaggi non sono piú marionette, e siano pur marionette tragiche, legate irremissibilmente ad un filo che le sostiene e le guida. Essi hanno acquistata piena indipendenza, e possono lottare contro l’avverso destino, senza la prescienza della necessaria sconfitta: possono, secondo il motto di Terenzio, divenire artefici del proprio destino.

Tutti intendono quale grande e libero campo si apriva per il poeta ad un piú complicato sviluppo di sentimenti e di passioni. Ma subito soggiungiamo che Euripide non ne approfitta. Anzi, se badiamo bene, lo studio psicologico è piú trascurato qui che in altri drammi puramente tragici. Egli usa della nuova libertà acquistata dalle sue creature per impegnarle, non già in una lotta, bensí in un giuoco contro il destino. E nel giuoco, naturalmente, non hanno tanto luogo né i sentimenti, né le passioni, quanto l’abilità e la furberia. Chi ne possiede di piú, vince la partita. I suoi protagonisti, appunto per la loro entità di protagonisti, ne posseggono piú degli altri, e quindi si salvano. Tanto lo Ione quanto l’Ifigenia in Tauride e l’Elena, sono a lieto fine. E non sappiamo con precisione quanto questo «dramma-giuoco» piacesse agli spettatori: certo dispiaceva oltremodo ad Aristofane, che qualificava quel giuoco mechané, e, cioè, traducendo secondo le intenzioni del commediografo, pasticcio. Ma qui non si vuole giudicare, bensí caratterizzare. E se pensiamo che giuoco è