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Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) I.djvu/279

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210 EURIPIDE

vivrò piú leggèra.
I miei cigli di lagrime stillano,
tutta è l’anima un cruccio, ché insidie
mi tesero gli uomini, mi tesero i Súperi;
e questi io denuncio
traditori del talamo e ingrati.
O tu, che sovressa la cetera
settemplice intoni la voce,
che l’eco nel corneo silvestre
esanime guscio
ridesti degl’inni canori
delle Muse, a te biasimo infliggo,
in questo raggiare
del giorno, o figliuol di Latona.

Strofe
Tu giungesti, dai crini tuoi d’oro
scintillando, mentre io nel mio peplo
falciavo, a fiorirne il mio seno,
i petali d’oro e di croco.
Il fior dalle mani mie candide
ghermisti, e dell’antro nel talamo
mentre io «Madre mia!»
gridavo, tu Dio,
bandito il pudor, mi rapisti,
compiacendo alle brame di Cipride.

Antistrofe
E un figlio mi nacque, o me misera,
che io, per timor di mia madre,
deposi in quell’antro medesimo
dove in talami tristi me triste