Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) I.djvu/307

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onde la morte m’apprestò. Ma fausto
un Dèmone trovai, prima di giungere
ad Atene, a morir sotto le mani
della matrigna: oh, qui, fra genti pronte
al mio soccorso, misurar potei
l’animo tuo, quale sciagura infesta
tu sei per me: ché nelle reti stretto,
all’Ade tu già mi spedivi.
Vede Creusa.
                                             Ah trista!
Vedete, inganno sopra inganno trama.
All'altare del Dio s’è stretta, e il fio
pagar non vuol dei suoi misfatti; ma
non ti potrà l’ara salvare, né
di Febo il tempio. La pietà che invochi
per te, meglio a me spetta, alla mia madre:
ché, se lontano è il corpo suo, nel cuore
impresso ho sempre il nome suo. Prendetela,
sicché strappare dalla intatta chioma
possano i ricci le Parnasie rocce
quando giú da una rupe ella precipiti.

creusa

D'uccidermi io ti vieto, e per me stessa,
e pel Nume di cui stiamo sull’ara.

ione

Tra Febo e te, che mai c’è di comune?

creusa

La mia sacra custodia al Nume affido.