Vai al contenuto

Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) II.djvu/175

Da Wikisource.
172 EURIPIDE


piangevam la signora; ma le lagrime
nascondevamo all’ospite: ché Admèto
ce l’aveva ordinato. — E adesso, io
devo servirlo a tavola, quest’ospite,
questo birbone, questo ladro, questo
brigante! E intanto, la padrona mia
la portan via di casa, ed io non l’ho
seguita, verso lei non ho potuto
tender la mano, sfogarmi a singhiozzi,
lei che per me, che per i servi tutti,
era una madre, che ci risparmiava
mille castighi, mitigando l’ira
dello sposo. Ho ragione o no, se odio
lo stranier che piombò fra i nostri guai?
Dalla stessa porta esce Ercole, ubriaco, con una coppa in mano ed una corona in testa.

ercole

Perché stai lí cogitabondo e scuro,
amico? Un servo non ha già da fare
quel muso lungo agli ospiti, ma accoglierli
con garbo e grazia. Tu, vedi l’amico
in casa del padrone, e lo ricevi
accipigliato, con un viso d’uggia!
Sentimi qui, che metterai giudizio.
Lo sai qual è la sorte dei mortali?
Credo di no. Chi può avertelo detto?
Debbon morire tutti quanti gli uomini;
né tra i mortali alcuno v’è che sappia
se dimani vivrà: ché oscuro è l’esito
della ventura; e non s’impara; ed arte
non te l’insegna. Adesso che sai tanto,