Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) II.djvu/176

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ALCESTI 173


che l’impari da me, datti alla gioia,
trinca, pensa che il giorno che tu vivi
è tuo, della Fortuna è il resto. E onora
Cípride, delle Dee la piú soave,
la piú benigna pei mortali. E l’altre
malinconie, lasciale stare, e dammi
retta, se non ti par ch’io dica male.
A me, pare di no. Dunque, non startela
a pigliar troppo, cingi una corona,
varca la soglia, e bevi insiem con me:
e ti so dir che il tintinnio del calice
farà mutare subito di rotta
a quella grinta amara, e all’umor negro.
Chi è mortale, ha da pensare da
mortale; e per la gente ammusonita
sempre e accigliata, credi pure a me,
la vita non è vita: è un’agonia.

servo

Tutto questo lo so; ma non passiamo
un momento da risa e da bagordi.

ercole

È morta una straniera: non pigliartela
troppo: i signori della casa vivono.

servo

Vivono? Non sai dunque i nostri mali?

ercole

Vivono! o il tuo signor mentito m’ha!